MONFALCONE - Litigano, si minacciano di morte e vengono alle mani.
TG CIOCIARIA E LAZIO del 07 ottobre 2025
“Per sciogliere i nodi della criticità monfalconese, dovuti al macigno di una tematica migratoria non governata e lasciata alla spontaneità del libero mercato (modello mediterraneo), non basta una legge regionale (come proposto in sede di dibattito politico) ma serve prima di tutto una legge nazionale. Vale cioè per il paradigmatico “caso” Monfalcone l’asserzione che una incisiva politica migratoria dovrebbe partire da una accoglienza programmata ed organizzata in Area vasta che permetta l’inserimento di quanti si impegnano per un progetto migratorio costruttivo: i flussi migratori dovrebbero essere governati dalla mano pubblica in un contesto politico-economico di impostazione chiaramente neokeynesiana (modello nordeuropeo). Lo spartiacque (negativo) che poi avrebbe fatto precipitare nel disordine istituzionalizzato la situazione monfalconese rimonta all’indomani della vittoria nazionale del Centro-sinistra nel 2006: allora si elaborò una proposta di legge che portava i nomi dei proponenti: Giuliano Amato e Paolo Ferrero. L’obiettivo era il superamento dell’approccio securitario che secondo gli estensori aveva caratterizzato l’applicazione della Bossi Fini, insieme al tentativo di pianificare in modo più articolato gli arrivi e riorganizzare le politiche di integrazione. Si prevedeva appunto la reintroduzione dello sponsor, il diritto di voto alle elezioni amministrative per i possessori di permesso di soggiorno di lunga durata, la programmazione triennale dei flussi. Il Disegno di legge delega del Governo veniva approvato nel giugno del 2007 ma il provvedimento si bloccava a causa degli ostacoli trovati in Parlamento e infine a causa della caduta del secondo governo Prodi nel 2008. Veniva così accantonata definitivamente (almeno allo stato attuale il tema non sembra all’ordine del giorno) la possibilità di pianificare i flussi migratori e di gestire in modo equilibrato e razionale la loro integrazione nei territori. Il caso Monfalcone è un emblema nel medio-lungo periodo (di un quarto di secolo) prodotto da una sfrenata metodologia liberista (caratterizzata cioè dall’assenza della mano pubblica) implicitamente accettata da tutti. Si sente spesso ripetere il luogo comune che la causa delle criticità risiederebbe nel conferimento al subappalto di un ruolo centrale nella produzione e che la responsabilità sarebbe dei “poteri forti”: produttività e pil prima di tutto, a discapito del territorio e del valore lavoro. I poteri forti evocati localmente sono in realtà le stesse forze politiche parlamentari (cui il livello locale fa riferimento) che hanno teoricamente il potere di iniziativa legislativa (sulla legislazione d’appalto e sulla materia migratoria) che garantisca una “governance” – intesa come l’insieme dei principi delle regole e delle procedure che riguardano la gestione e il governo di un fenomeno collettivo o di un’istituzione o di una società - dello stesso fenomeno strutturale e permanente in parola. Serve insomma una legge nazionale (per Monfalcone, poi ovviamente estensibile al resto del Paese)”.
Fabio DelBello – Assemblea provinciale Pd
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