SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Forza Italia con 25 giovani dal Friuli Venezia Giulia ad “Azzurra Libertà”
RONCHI DEI LEGIONARI - Di Lenardo e Oian (AVS): “da Ronchi a Udine, mobilitazione contro Leonardo e la partita della vergogna”
“Il 12 settembre 1919 D’Annunzio partiva con i suoi legionari da Ronchi di Monfalcone alla volta di Fiume. L’impresa fiumana, l’occupazione e il governo della città non furono vicende di carattere locale ma frutto di un progetto che mirava a ridisegnare equilibri e forme di potere all’interno dello Stato, colpevole, secondo alcuni ambienti militari e nazionalisti, di aver barattato l’annessione di Fiume con la garanzia di subentrare all’impero austro-ungarico nel governo della provincia di Dalmazia, fino a capo Planka, e di alcune isole a nord e ad ovest della costa dalmata come prospettato dall’articolo 5 del Trattato di Londra sottoscritto da Italia, Francia, Gran Bretagna e Russia nel 1915. Fu una azione violenta e eversiva, nata da un manipolo di uomini alla testa dei quali si pose D’Annunzio stesso dopo molteplici sollecitazioni, condotta non in nome e per volontà del governo italiano, che da subito vi si oppose ritenendola appunto eversiva. Davanti al monumento a D’Annunzio il 12 settembre a SanPoletto, da molti anni veniva realizzato un momento di ricordo da parte di singoli, associazioni, partiti, che in quella figura ed in quell’evento trovavano e trovano identificazione e valori. Nessuno ha mai posto veti perché in democrazia funziona così. Ronchi e tanto più Monfalcone rimanevano indifferenti come alla partenza dei legionari nel 1919. Da poco più di una decina d’anni si è riscontrato invece come tale cerimonia abbia mutato stile e contenuti, andando oltre il ricordo dei caduti ed acquistando sempre più una connotazione politica ed ideologica che rimanda a parole, slogan, simboli in uso in un passato nefasto degenerato poi in un conflitto che ha visto l’Italia combattere contro….il Resto del Mondo (Commonwealth e Francia all’inizio e poi Urss e Usa). Il Paese fu ridotto inevitabilmente in macerie e perse quasi tutte le province adriatiche orientali annesse dopo la Prima guerra. Solo Trieste rimase all’Italia e non per una particolare benevolenza da parte degli Alleati ma perché era indispensabile tenere il Porto e la via di comunicazione con Vienna, asset logistico e capitale mitteleuropea collocati sul limitare del mondo comunista (essendo il regime titoista dal 1945 al 1948 ancora allineato al cominformismo). L’interrogativo, che va perciò rivolto a chi rappresenta lo Stato italiano nell’Isontino, è se tali atteggiamenti celebrativi di un’azione chiaramente “eversiva” e a suo tempo contrastata con forza e manu militaruìi dallo stesso Stato italiani siano compatibili con l’adesione del Paese alle Istituzioni e ai Valori dell’Unione europea”.
Fabio DelBello
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