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MONFALCONE - Fincantieri ricavi in crescita del 20%, ordini record per 16 miliardi e carico di lavoro complessivo oltre i 61 miliardi

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MONFALCONE - Strukelj (Progressisti): “Fincantieri non si cambia con gli slogan”

Aggiunto il: 12/11/2025
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lRecentemente il Consiglio comunale di Monfalcone ha affidato alla Giunta cittadina un compito tanto ambizioso quanto impegnativo: aprire un confronto con Fincantieri per rivedere l’organizzazione del lavoro all’interno del cantiere di Monfalcone, modificando il modello produttivo e limitando il ricorso alla manodopera immigrata, promuovendo una forma consortile partecipata da Fincantieri per superare il sistema degli appalti e favorire l’impiego di lavoratori locali. Il mandato è stato condiviso trasversalmente dalle forze politiche, e dimostra una volontà chiara:
riaffermare il ruolo del Comune nella regolazione delle dinamiche industriali che toccano la vita di migliaia di cittadini. Ma il valore politico dell’atto, per quanto apprezzabile, solleva una domanda
decisiva: la Giunta ha le competenze per gestire una trattativa di questa portata?
Con mero scopo valutativo e generale, e consapevole della differenza tra ruolo tecnico e ruolo politico, ho provato ad analizzare il corpo amministrativo comunale e i CV dei suoi componenti,
confrontandoli con la realtà organizzativa e strategica dell’interlocutore designato: Fincantieri.
Partiamo da quest’ultimo. Fincantieri è ben più di un cantiere navale: è una holding multinazionale a partecipazione pubblica con oltre 21.000 dipendenti diretti, 7.000 fornitori, una presenza attiva in 18 Paesi e un portafoglio
ordini da oltre 43 miliardi di euro. Il suo stabilimento di Monfalcone è il più grande in Europa nel settore crocieristico. Il Piano Industriale 2023–2027 (ne ho letto solo la presentazione) delinea i principali pilastri strategici, tra cui la transizione energetica e digitale, l’integrazione della filiera produttiva e
l’espansione nei mercati della difesa, dell’offshore e dell’idrogeno. In estrema sintesi, Fincantieri si propone non solo come produttore di navi, ma come “system integrator” ad alto contenuto
tecnologico, capace di guidare innovazione, sostenibilità e trasformazione organizzativa a livello
globale. La governance dell’azienda è strutturata secondo standard internazionali, con una forte componente
ESG, integrata in molti sottosistemi aziendali, e con divisioni specializzate in procurement, R&D, supply chain sustainability, risk management, compliance e relazioni istituzionali.
Il bilancio 2024 (di cui ho letto solo la presentazione pubblica) presenta un portafoglio ordini record di oltre 43 miliardi di euro, con una crescita degli ordini acquisiti (+25%) rispetto all’anno
precedente. Il gruppo ha rafforzato la sua posizione patrimoniale, riducendo l’indebitamento e consolidando investimenti in ricerca, sostenibilità e digitalizzazione. L’EBITDA è in miglioramento, e gli indici di redditività confermano una gestione manageriale attenta al valore a lungo termine, in
linea con le best practice internazionali.
In sostanza, Fincantieri si muove su un terreno in cui performance finanziaria, trasformazione digitale e rating ESG sono pienamente integrati. Le metriche di impatto sociale e ambientale sono
certificate, monitorate e correlate alla remunerazione dei vertici, secondo standard rendicontativi internazionalmente riconosciuti. In questo quadro, ogni interazione con soggetti esterni – pubblici o privati – è filtrata da modelli di governance e valutazione del rischio decisamente sofisticati. Solo da questa analisi molto preliminare, appare evidente che chi desidera sedersi al tavolo con Fincantieri deve saper parlare la lingua della strategia industriale, della trasformazione digitale, della
sostenibilità regolamentata, della geopolitica degli appalti e del diritto del lavoro transnazionale. A ciò si aggiunga che i dati demografici e formativi del territorio non offrono, allo stato, una base occupazionale sufficiente a sostenere il cambiamento auspicato, senza un massiccio investimento
pluriennale in formazione e attrattività lavorativa, prospettiva davvero molto complessa per una serie di motivi che qui non è davvero possibile affrontare.
In questo scenario si colloca la Giunta monfalconese, che possiamo provare a valutare in modo asettico ma preciso.
Il Sindaco Fasan, titolare di una piccola impresa edile (sostanzialmente inattiva) e con esperienza nel settore moda, ha indubbiamente un mandato democratico forte. Tuttavia, non ha formazione né
esperienza in ambito industriale, negoziale o giuridico. La sua attività politica si è finora concentrata
su commercio e marketing territoriale.
L’unica figura con un passato industriale – l’assessore Maioretto – ha ricoperto un ruolo impiegatizio nell’ufficio acquisti di un’azienda manifatturiera: un’esperienza certamente dignitosa ma lontana anni
luce dalla gestione di supply chain globali, contrattazioni sindacali o analisi di bilancio industriale. Gli altri membri della Giunta provengono da ambiti civici, sanitari, educativi e sportivi. La vice
sindaca Calligaris, dirigente medico, possiede un buon profilo di coordinamento gestionale, ma nel
contesto sanitario pubblico e non certo in quello industriale. L’unico assessore con reale esperienza interna a Fincantieri – Paolo Venni – è in evidente conflitto
d’interessi e (riteniamo) non parteciperà ad alcuna trattativa (ne è indice il fatto che è uscito dall’aula al momento della votazione della mozione di cui stiamo parlando). Con tutto il rispetto per ogni storia individuale e lavorativa, e con tutta la considerazione per la dignità personale di ognuno, va detto che l’analisi HR porta a una conclusione netta: la Giunta non ha al proprio interno le competenze adeguate a confrontarsi con una struttura come quella di
Fincantieri. Una simile trattativa richiederebbe (almeno) la presenza di esperti in diritto industriale e del lavoro,
analisti economico-finanziari capaci di leggere piani industriali complessi, professionisti con esperienza in corporate governance e appalti pubblici e privati, capacità di interazione a livello
interministeriale e con enti sovranazionali (CDP, SACE, UE). Non è poco, davvero. La sfida lanciata è legittima, intendiamoci, e per certi versi necessaria. Ma oggi la Giunta è nella
posizione di un Davide senza fionda: con buone intenzioni, ma senza strumenti, né alleati tecnici. La posta in gioco non è una variazione di bilancio, o il programma per le festività natalizie… il tema
di fondo è il cuore stesso del modello di sviluppo della città. In questa cornice, il Comune ha due strade possibili: insistere su un protagonismo inefficace e
destinato all’insuccesso, oppure dotarsi di un team tecnico esterno, composto da consulenti industriali, giuslavoristi, esperti di governance e rappresentanti autorevoli del territorio. Solo così
potrebbe aprire un confronto vero, alla pari, senza illudere né la cittadinanza né sé stesso. Ma al netto di tutto ciò, la vera domanda, quella dalla quale è necessario partire per progettare un qualsiasi futuro comune è la seguente: è davvero immaginabile che la mano pubblica locale, ovvero politica, possa determinare il piano industriale di una azienda come Fincantieri? Io credo che lo spazio di manovra sia un altro. E non certo per rinunciare alla sfida, ma per
affrontarla dal lato giusto. Nelle sue DNF (dichiarazioni non finanziarie) e nella pubblicazione del suo bilancio d’esercizio, relativamente allo standard ESRS-S3 (degli European Sustainability Reporting Standards) Fincantieri dichiara di impegnarsi “nella creazione di benefici per le comunità presso cui opera (…) favorendo lo sviluppo economico e sociale”, consapevole che questo costituisca “un'opportunità per
consolidare il proprio ruolo presso di esse e costruire relazioni solide”. Non dovrebbe forse essere questo il vero tema da mettere sul tavolo, non come elemento di scontro, ma come base concreta per un dialogo e una progettazione comune? Fincantieri non si cambia con gli slogan. Si cambia – se mai si cambia – con la competenza, il rigore,
e l’autorevolezza. Con Fincantieri bisogna avviare un progetto condiviso, con solide radici di prassi industriale e di
governance del territorio. Per fare questo, serve un Comune che sappia dire la verità anche a sé stesso, che abbia il coraggio di guardare negli occhi la propria demografia, lo scenario economico e industriale, le ricadute, le
opportunità e i rischi. Serve un Comune che abbia il coraggio di riconoscere i propri valori e i propri limiti e immaginare
il proprio futuro in modo realistico e pragmatico. Perché Davide, per affrontare Golia, aveva almeno una fionda. Qui, per ora, non si vede neanche il sasso”.

Davide Strukelj

Presidente Progressisti per Monfalcone

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